martedì 26 giugno 2012

La Didattica dei Corsi di Istituto Italiano di Fotografia: intervista al docente Roberto Mutti





Per tutti i giovani che non solo amano la fotografia e l’arte ma vogliono anche praticarla a buon livello, oggi presentiamo l’intervista a Roberto Mutti, critico fotografico e docente di fotografia a Milano nei Corsi dell’Istituto Italiano di Fotografia.

Roberto Mutti è una figura atipica e poliedrica del mondo della fotografia: grazie a questa intervista impariamo a conoscerlo meglio e ad apprezzarne la profonda professionalità ed umanità. Scopriamo così dal di dentro i segreti della didattica della Scuola Istituto Italiano di Fotografia. Cercheremo così di farci un’opinione più precisa sull’Istituto Italiano di Fotografia i suoi corsi di fotografia, pensati per offrire ai giovani esperienze concrete ed entrare quindi da protagonisti nel mondo della fotografia: in particolare per il Corso Superiore Professionale Biennale, nel quale Roberto Mutti è insegnante per l’area “Progettualità”.

Ci dica rapidamente: come si chiama e qual è la sua professione?

Mi chiamo Roberto Mutti e vivo nel mondo della fotografia con diversi profili professionali. Quando però mi chiedono di sintetizzare preferisco definirmi semplicemente “critico fotografico”, un termine che mi piace molto.

Ci racconti di lei: quali studi ha fatto e quale è stato il suo percorso professionale ?

Al contrario di molti fra i miei colleghi, non provengo da studi artistici: dopo il liceo classico mi sono laureato in filosofia e questo mi consente un approccio molto diverso alla fotografia. Ho, inoltre, una formazione eterogenea: ho lavorato e scritto per il teatro, mi sono dedicato al giornalismo, ho fatto ulteriori studi in storia dell’arte. Alla fotografia mi sono avvicinato con un interesse a tutto campo avendola studiata soprattutto dal punto di vista storico e critico ma anche da quello più propriamente tecnico. Questo perché penso che un critico debba conoscere ogni aspetto di questa disciplina e non limitarsi alla dimensione estetica. Ecco perché ho svolto la professione di insegnante, di critico, di giornalista (da molti anni scrivo per il quotidiano la Repubblica e ho collaborato con diverse testate di settore), di organizzatore di mostre, di scrittore di volumi di argomento fotografico. Tutti questi aspetti cerco di mostrarli nella mia attività didattica mettendo la mia esperienza al servizio degli studenti.

In quale corso della Scuola Istituto Italiano di Fotografia insegna e quali sono le sue materie?

Insegno nelle classi del secondo anno del corso Professional e, nel termine “Progettualità” che definisce la mia materia, ne sono implicite altre. Dovendo ogni anno proporre un tema su cui gli studenti lavoreranno, mi corre l’obbligo di utilizzare elementi di storia della fotografia e, soprattutto, principi di linguaggio fotografico. Insegno anche nel corso serale Evening ma qui i miei interventi riguardano solo gli aspetti del linguaggio creativo.

Ci può descrivere il suo “metodo didattico”? Cosa vuole trasmettere ai suoi studenti e come ci riesce?

Il mio metodo didattico è il frutto di un attento studio perché penso che bisogna saper coniugare armonicamente due esigenze. Da una parte quella implicita nella cosiddetta lezione frontale che ha il suo valore perché è giusto che chi ha un sapere lo trasmetta a chi (ancora) non lo sa; dall’altra c’è però l’esigenza di stabilire un dialogo così che la comunicazione non sia mai solo univoca. Ovviamente, per lavorare in questo modo occorre superare una barriera psicologica perché i ragazzi sono abituati solo ad ascoltare o, in molti casi, a fingere di ascoltare. La prima cosa che faccio è quindi quella di coinvolgerli facendo in modo che intervengano con domande e pareri su quanto facciamo assieme. Due sono i livelli che mi interessano: il primo è quello di trasmettere conoscenze non solo in campo strettamente fotografico ma anche più ampliamente culturale con riferimenti alla letteratura, al cinema, al mondo dell’arte e dello spettacolo. Il secondo e più importante aspetto è, invece, quello di insegnare agli studenti a riconoscersi, a far emergere la propria creatività, a cercare in sé la strada da seguire non solo a scuola ma anche dopo gli studi. Con alcuni – quelli che mi seguono in questo percorso volutamente tortuoso – ci riesco ma con altri probabilmente no perché non tutti capiscono che studiare fotografia non è come andare al liceo e tentare di copiare il compito di matematica.

Ci racconti cosa succede in una sua lezione tipo nel corso Superiore Professionale di Istituto Italiano di Fotografia

Una lezione tipo inizia sempre con l’indicazione delle mostre più interessanti da andare a vedere: fornisco titoli, suggerimenti, indirizzi delle gallerie e commenti sulle mostre già aperte o che stanno per aprire nei giorni successivi. Si parla anche delle mostre che gli studenti hanno visto e viene chiesto loro un parere nel merito. Questo consente di entrare già nell’ambito del lavoro che facciamo ma la fase della vera e propria lezione cambia a seconda del livello che si è raggiunto. Per esemplificare nel 2011-2012 il tema su cui abbiamo lavorato era il rapporto fra fotografia e letteratura con particolare riferimento al libro di Carlo Collodi “Le avventure di Pinocchio”. Nelle lezioni di inizio anno ho spiegato con proiezioni di immagini e o power point appositamente realizzati il rapporto che alcuni fotografi hanno stabilito con la letteratura. Più avanti abbiamo cominciato ad analizzare i lavori che gli studenti cominciavano a realizzare e a commentarli tutti assieme. Questa è una parte molto importante perché obbliga tutti a seguire il lavoro complessivo, aiuta chi non ha ancora elaborato una precisa idea a farsela, chiede a chi presenta un lavoro di illustrarlo come progetto e, all’occorrenza, a difenderlo dalle critiche (ma anche a considerare il valore, quando c’è, di queste ultime).

Ci racconti come vede gli allievi della scuola Istituto Italiano di Fotografia.

Non si può definirli univocamente: diciamo allora che esiste un tipo di studente che lavora con determinazione, segue il lavoro comune, cerca di migliorarsi. Poi vi sono anche coloro che sono poco disponibili e poco ricettivi ma, ovviamente, chi conosce la complessità delle dinamiche di gruppo di tutto ciò non si stupisce e sa che questa poca disponibilità può trasformarsi positivamente. Quello che mi colpisce sempre in una scuola è osservare il salto di qualità che in un tempo relativamente breve viene fatto da tutti.

Qual è il suo modello di studente ideale?

Il mio studente ideale (e ne ho avuti molti, quindi non è una figura immaginaria e irraggiungibile) deve avere poche ma importanti caratteristiche: essere sempre presente ed attento, partecipare al lavoro comune, dimostrare quella duttilità che è di volta in volta senso autocritico o al contrario consapevolezza delle proprie scelte, essere pronto a recepire le critiche, sapere che la costanza e la determinazione sono doti indispensabili. Quelli che si sentono arrivati, quelli poco dialettici, quelli che non accettano critiche e si sentono artisti, questi sono i miei studenti non-ideali.

Che rapporto ha con la Scuola di Formazione Istituto Italiano di Fotografia?

Con la scuola ho un rapporto che nasce molti anni fa ed è di stima e complicità. Mi piace condividere le scelte e realizzare progetti comuni. Da questo punto di vista il dialogo è costante è ciò costituisce un elemento fondamentale per lavorare in modo costruttivo.

Che consiglio darebbe oggi ai giovani per avere successo (o almeno entrare) nel mondo del lavoro?

Per entrare nel mondo del lavoro occorre essere molto determinati perché tutto è sempre stato difficile anche se in questi ultimi anni, come si sa, lo è ancora di più. L’importante è essere duttili e disponibili (ma non a lavorare gratis o sottopagati), cercare occasioni che consentano anche di imparare, continuare a studiare, leggere e a frequentare mostre. Per il successo non ci sono ricette, altrimenti tutti le seguirebbero.


Ringraziamo Roberto Mutti, critico fotografico e docente dei Corsi dell’Istituto Italiano di Fotografia, per la sua interessante intervista. E aspettiamo da lui consigli per le prossime mostre da mettere in agenda…

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